01. Senso. Di Colpa.

senso di colpa

“Senso. Di colpa” è il primo episodio di questa serie di #autoresponder dedicati alle emozioni nel campo del lavoro.
Il fine di questa serie di autoresponder è mettere in discussione il proprio approccio al lavoro per riscoprirsi professionisti migliori.


La mancata osservanza delle regole.
Le conseguenze negative.
Il pensiero che corre sull’ “avrei potuto fare così. E invece…”.
Sul senso di colpa ci si può costruire una società. Una famiglia. Un’azienda. Una professione.
Sul senso di colpa ci si può costruire il Successo.
Perché vendere basandosi sulla colpa altrui è più semplice di quanto si pensi. Basta volgere lo sguardo al mondo delle diete miracolose per toccare con mano ciò che sto scrivendo.
Il senso di colpa, infatti, matura non come una semplice emozione ma come un mix sottile di sentimenti spiacevoli come angoscia, sconforto, dolore e insicurezza. E non nasce per forza sulla base di un errore oggettivo, ma sulla base di qualcosa che avremo potuto fare in maniera diversa.
Il senso di colpa è accentuato in chi dimostra empatia con il prossimo.

E qui arriviamo al nocciolo di questa breve storia.
Quando si usa il senso di colpa come pietra angolare del business, ciò che si costruisce è una roadmap distruttiva, poiché non si mette sul piatto una sana crescita competitiva ma un’evoluzione che si basa sulla pressione psicologica di chi più degli altri è sensibile al mettersi in discussione.
Il senso di colpa non funziona con gli ottusi, non funziona con le persone e i professionisti che davvero valgono in azienda. Il senso di colpa funziona spesso con gli elementi migliori. Quelli che il lavoro lo prendono non solo come business ma come una parte importante della propria vita.

Di senso di colpa soffrono solo le risorse migliori. E il verbo soffrire non è qui preso a caso: il senso di colpa è una sofferenza. Può essere uno stimolo, può essere un’occasione per un nuovo punto di vista, può essere una risorsa oppure un’occasione di riscatto: può essere tante cose, ma il più delle volte è un fenomeno di sfruttamento dell’ansia che solo chi non ha altre armi mette sul piatto per “far crescere” le proprie risorse.

Quando il nostro contesto lavorativo ci fa sentire continuamente inadeguati, quando il mettersi in discussione non basta, è necessario avere il coraggio di lasciare i “carnefici” a se stessi.

In un mondo in cui il business ci costringe a superare i nostri limiti di tempo e concentrazione, ricordiamoci sempre che vale la pena perdere un cliente ma non vale la pena perdere la nostra professionalità.

Uscire dal complesso del senso di colpa non è facile. Ma la storia che vorrei farti risolvere è un po’ questa.
Di fronte all’ennesima critica sulla tua mancanza di competenza e sull’opportunità di acquisirla rapidamente a scapito di un collega da sempre corretto con te, cosa faresti?
Quale alternativa proporresti?

Io ci vedo tre plausibili finali.
1) Acquisire quella competenza a scapito del collega. Rinunciando a fare squadra e quindi a conquistare progetti futuri con un professionista da sempre corretto e affidabile.

2) Acquisire quella competenza in tempi più lunghi rispetto a quelli richiesti. Perdere la propria occasione e rimanere in buoni contatti con un collega affidabile. E un giorno, forse, farà squadra con lui/lei se non avrà già spiccato il volo.

3) Usare le competenze che si hanno per fare squadra con chi attualmente possiede la competenza oggetto di critica, e domandarsi se la critica era finalizzata alla crescita o allo sminuire la propria professionalità.

Ci sono tanti altri finali probabilmente migliori.
Quello che mi appartiene è il terzo, perché lo ripeto, vale la pena perdere un cliente ma non vale le pena perdere la nostra professionalità. Anche dal punto di vista etico.


Nel mio lavoro ho visto tante volte sorgere dubbi e senso di colpa sulla propria qualità lavorativa a professioniste straordinarie.
Dominate da sempre dalla costante necessità di dimostrare di essere brave. Anzi eccellenti. Senza riuscire a vedere che il dimostrare di essere abbastanza brave stava offuscando la loro stessa competenza.
Per questo il senso di colpa non è che il più solitario dei sostantivi professionali al femminile.
Perché inconsciamente agisce agghindandosi con le ricche vesti di uno stimolo di crescita quando, in realtà, è solo l’arma di un business che tende a mortificare talenti prestanti ma alcune volte insicuri.

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