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La disponibilità come merce di scambio in assenza di competenza

Nel digital marketing, per quanto sia varia la fauna di consulenti e agenzie che ne animano la giungla, il paradigma della disponibilità come merce di scambio in assenza di competenza è un evergreen senza tempo. E a pagarlo maggiormente sono quei professionisti che per diverse 50 buone (o cattive) esperienze rifuggono il “ma ceeeerto nessun problema, mandami tutto su whatsapp, telegram e friendfeed” in nome di una sanissima competenza. Capisco bene che agli inizi della propria carriera sia necessario essere accondiscendenti, disponibili e notevolmente più flessibili nei confronti dei propri (potenziali) clienti.

Il mio dubbio, per esperienze recentissime, non è rivolto a chi si sta affacciando al mondo della consulenza.

L’OSSESSIONE PER LA DISPONIBILITA’

Il mio dubbio più profondo riguarda quei consulenti aziendali, quei professionisti estremamente navigati che abituano un cliente alla telefonata ossessiva, al prendere il caffè insieme appena si può, al ” ma s^ dai, mi fermo anche a pranzo”, protraendo riunioni di 30 minuti fino alla becera durata di 4 o 6 ore.

IL PARADIGMA DELLA DISPONIBILITÀ COME SOFT SKILL AL VELENO

Il sonno della ragione riguardante le soft skill ha generato mostri di ogni colore, taglia e carattere. Mai prima d’ora mi era capitato però “il mostro mostruosamente gentile“, ovvero quello che nel presentarti al cliente ci tiene a puntualizzare che questo cliente, più che di un consulente ha bisogno di un amico.

Perché esserci sempre è una garanzia di sicurezza per il cliente”

Ecco, quando con il mio compagno abbiamo dovuto scegliere a chi affidare la ristrutturazione di casa nostra, la caratteristica principale che ci ha fatto fuggire da certe ditte è stata “quell’esserci sempre come un petulante avvoltoio in attesa del reddito di carcassanza“. Uno degli errori più gravi che un’azienda che può commettere è quella di affidarsi ad agenzie e consulenti che come unica ragion d’essere hanno questa magnifica soft skill della disponibilità. Di fronte a grandi aziende a gestione “familiare”, di fronte a marketing manager di famiglia estremamente insicuri, il mostro mostruosamente gentile ha trovato il modo più rapido, consistente e velenoso per affondare le sue mollicce radici. E in un angolo, un po’ perplesso, se ne stanno le agenzie brave.
E i consulenti quelli seri ma poco accondiscendenti. Quelli che sanno che l’unica garanzia di qualità per un lavoro è metterci la testa, non il pranzo o il caffè insieme. In un eco-sistema in cui “i caffè presi insieme” sostituiscono le competenze, vedo un futuro estremamente grigio. 
Non per le agenzie di marketing. Non per i consulenti un po’ borbottanti. Lo vedo per le aziende e per i loro “leader formato famiglia”, drogati dal placebo delle soft skill e totalmente incapaci di riconoscere qualcuno che vuole lavorare bene con loro. Perché ricordiamoci sempre che chi offre disponibilità in cambio di competenza, l’unico vero cliente che è pronto a portare al successo è solo se stesso.

Valentina Vellucci

Vengo da un percorso di studi umanistico. Mi occupo di digital marketing dal 2010. Qui non voglio parlare di lavoro. Questo è un salotto di storie.

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Valentina Vellucci

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