La scrittura come terapia

Compri troppo.
Compri troppo poco.
Compri quello che non serve.
Compri quello che non serve. Secondo me.

In questi giorni particolari, fra decreti notturni, dirette Instagram non richieste e molteplici pianificazioni su stessi, ognuno si è sentito in diritto di giudicare il dolore e/o la solitudine del prossimo.
Perché non si può soffrire in pace. Anche la solitudine va addomesticata al giudizio altrui.

Probabilmente anche questa è una forma di gestione e superamento del trauma dell’isolamento. Probabilmente è solo un modo (un po’ meschino di altri) per difendersi da una condizione innaturale di “creature sociali” ridotte al massimo a “ectoplasmi social”.

DA ANIMALI SOCIALI E ECTOPLASMI SOCIAL

L’iper esposizione ai mezzi di comunicazione non ci sta permettendo nemmeno di vivere in maniera serenamente traumatica queste lunghe giornate di clausura.
Perché bisogna leggere. Non bisogna usare troppo i social. Non bisogna farsi spegnere dalla televisione. Bisogna fare attività fisica (sempre e comunque).  Fare la spesa come ti dicono gli altri. Essere iperconnessi.  Accendere la cam.  Chiamare tutti. Recuperare il tempo perso. Bisogna fare progetti. Essere perfetti e iper-produttivi anche se non c’è l’esigenza immediata di produrre.
Anche nel cuore della pandemia, l’ossessione per la perfezione non ci ha abbandonato, schiacciandoci sotto il peso delle aspettative da super eroi che la bolla social in cui ci siamo chiusi da anni ci ha costruito tutto intorno.

Dobbiamo saper fare la pizza il sabato sera, il pane il lunedì, la pasta fatta in casa la domenica. E poi il ragù. E le torte fatte in casa. E poi saper cucire. E poi saper lucidare. E poi essere parrucchiere, estetiste, madri, manager, amministratori delegati e dio solo sa cos’altro. Perché questa clausura forzata non può e non deve essere un momento di contemplazione. Solo una pausa in attesa di riprendere più forti e più veloci di prima.

PRODURRE PER PRODURRE ANCHE SE NON SERVE PRODURRE: ESISTE UNA CURA?

Ecco: quello che più mi spaventa di queste giornate surreali è la carica adrenalinica che ne verrà subito dopo. Oltre la perfezione, oltre il meglio di se stessi che già non sapevo raggiungere, oltre la natura stessa di esseri umani, saremo chiamati a fare 10, 20,30 volte tanto quello che già facevamo fatica a fare.
Perché non siamo in grado di aspettare nessuno. O meglio, non vogliamo aspettare nessuno. Nemmeno noi stessi.
E io quelle giornate le vivo con l’angoscia di chi sa che il male vero è non poterci permettere di vivere questa pandemia riflettendo su se stessi.
Senza pianificare per forza il successo. Senza per forza eccellere. Poiché si può costruire, si può pianificare senza per forza dover aggredire se stessi e il tempo in cui siamo immersi.

Si può uscire da tutto questo lasciandoci il tempo di “metabolizzare” quello che a tutti gli effetti è un evento traumatico.
C’è chi sceglie di farlo dando la colpa di tutto ai runner.
C’è chi sceglie di iniziare un corso di cucito.
C’è chi sceglie di studiare.
C’è anche chi vuole semplicemente scegliere di non scegliere. E “terapizzare” tutto questo semplicemente scrivendo.
Ecco: io faccio parte dell’ultimo gruppo.  Ma anche di quello con le aspettative sul futuro un po’ più basse. Di quel gruppo che sperava di raccogliere i frutti di anni di gavetta e invece “Ci dispiace ma NO, è stato bello ma NO: ridimensiona i tuoi sogni. In comode rate.”


La canzone consigliata per riflettere sullo stato d’animo con cui è stato scritto questo pezzo della rubrica “Non succederà più”, Elettra Lamborghini – ft. M¥SS KETA. Perchè avete un po’ rotto il cazzo a fare tutti gli intellettuali.


Ineluttabile è una rubrica molto semplice: a ogni micro impressione è abbinata una canzone utile a comprendere lo stato d’animo con cui è stata scritta.


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Valentina Vellucci

Vengo da un percorso di studi umanistico. Mi occupo di digital marketing dal 2010. Qui non voglio parlare di lavoro. Questo è un salotto di storie.

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Valentina Vellucci

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